Crowdfunding: chi ha ancora paura

redazione / 15 May 2015

Il crowdfunding, ovvero la raccolta di capitali per progetti innovativi mediante piattaforme specializzate che consentono a start-upper di presentare le proprie idee a tutto il pubblico della rete e di ottenere risorse finanziarie anche da internauti a migliaia di kilometri di distanza, è sempre più una rivoluzione che sta cambiando il modo di fare innovazione e impresa nel mondo. Secondo le stime più recenti Massolution i capitali raccolti dalle piattaforme di crowdfunding nel 2013 ammontano a circa 6 miliardi di dollari, con decine di migliaia di progetti finanziati, e un trend di ulteriore robusta crescita.

Le aspettative sul futuro del crowdfunding, che inizialmente si basava su uno schema di mere donazioni o cosiddetto reward-based (ovvero in cambio del proprio contributo monetario al progetto si riceveva in premio il prodotto realizzato dall’imprenditore finanziato), stanno cedendo il passo alla forma più matura di finanziamento: il crowdfundingequity-based. In questo caso a fronte del proprio contributo monetario all’iniziativa se ne diventa azionisti. Un forte impulso al crowdfunding equity-based si è avuto con il JOBS Act di Obama che ha fortemente voluto favorire lo sviluppo di questa forma di finanziamento per rilanciare innovazione e occupazione negli USA. È interessante che l’Italia sia stata uno dei primi paesi nel mondo a introdurre una regolamentazione ad hoc per l’equity crowdfunding.

Nonostante l’entusiasmo globale di start-upper e della politica, non tutti hanno accolto favorevolmente questo dirompente fenomeno. I venture capitalist hanno infatti vissuto l’arrivo del crowdfunding come una potenziale minaccia per il loro ruolo: mettendo direttamente in contatto imprenditorie investitori finali, le piattaforme di crowdfunding sono apparse come una forma di “disintermediazione” che alla lunga avrebbe reso il venture capital superfluo.

In realtà, alcuni dei casi di successo di iniziative finanziate con il crowdfunding raccontano una storia più articolata. Pebble per esempio è uno smartwatch creato da un ingegnere neolaureato, Eric Migicovsky, spostatosi nella Silicon Valley per sviluppare la sua invenzione. Inizialmente, Y Combinator, un incubatore simile a iStarter, ha supportato gli stadi early stage del progetto. Quando tuttavia, si è trattato di presentare l’idea a venture capitalist professionali, Eric ha collezionato una lunga serie di rifiuti, e ha quindi deciso di raccogliere i 100mila dollari di cui aveva bisogno per migliorare il prototipo utilizzando una piattaforma di crowdfunding. L’idea è piaciuta così tanto che nel giro di poche settimane invece dei 100mila sperati ha finito per raccogliere 10 milioni di dollari! Visto il successo di Pebble i venture capitalist che inizialmente avevano snobbato o respinto il progetto, sono tornati sui propri passi e hanno fatto a gara per finanziarlo: come risultato Eric oltre ai 10 milioni raccolti con il crowdfunding ne ha ottenuti altri 15 dal venture capital tradizionale.

Il crowdfunding è destinato a giocare un ruolo sempre più centrale nell’ecosistema dell’innovazione. Invece che penalizzare questo o quell’anello della catena del finanziamento di imprese innovative è prevedibile che arricchirà il ventaglio di opportunità a disposizione di inventori e start-upper trovando nuove forme di interazione, e di rafforzamento reciproco, con incubatori, angel investor, e venture capital. Quindi benvenuto crowdfunding!

 

Ps. La startup Paperbanana, che ha da poco terminato il programma di incubazione in iStarter, ha attiva una campagna di crowdfunding a questo link.