Gli investimenti seed in Italia: un caso disarmante

redazione / 15 May 2015

I dati sono disarmanti: secondo l’Aifi (l’associazione italiana del private equity e del venture capital) nei primi sei mesi di quest’anno gli investimenti seed effettuati in Italia in progetti/start-up ammontano complessivamente a 28 milioni di euro, quasi il 60% in meno rispetto ai primi sei mesi del 2012. Se l’ammontare investito è diminuito il numero di operazioni è invece aumentato (65 deal, +18%) con la conseguenza che il taglio medio dei deal è diminuito. Certo, sulla scorta della crisi finanziaria anche gli altri paesi dell’area Euro hanno visto una flessione in questo tipo di investimenti (circa il 20% in meno rispetto al primo semestre 2012), ma nel caso dell’Italia questi dati sono sconfortanti per almeno due ordini di ragioni.

La prima è che l’Italia investiva già storicamente poco in investimenti seed/start-up – il mercato francese del venture capital è cinque volte più ampio, quello tedesco sette, e anche la Spagna investe più di noi – quindi abbiamo registrato la più forte flessione degli investimenti in un mercato già relativamente piccolo. La seconda, più grave, ragione di preoccupazione è che anche fra gli imprenditori, nelle università, e soprattutto nel mondo politico non sembra ancora farsi strada l’idea che proprio dall’imprenditorialità, dagli investimenti in innovazione e in nuove imprese innovative bisogna ripartire per rilanciare l’economia. Quello che è stato per decenni il punto di forza del sistema produttivo italiano ovvero l’industria manifatturiera concentrata soprattutto del Nord-Est del Paese sta mostrando ormai da troppi trimestri la corda. La rigenerazione del tessuto industriale non può certamente essere realizzata con risorse pubbliche (perché non ce ne sono) e probabilmente nemmeno essere affidata alle storiche dinastie imprenditoriali italiane che fanno già fatica a presidiare le rispettive posizioni di mercato, e difficilmente avrebbero le energie, la volontà e anche – perché no? – la fantasia per creare nuovi business.

Sono i nuovi imprenditori quello di cui l’Italia ha disperatamente bisogno. Il capitale umano di qualità che potrebbe trasformarsi in una nuova classe imprenditoriale non manca. Mancano invece i capitali d’investimento, come emerge dalla fotografia dei dati Aifi. E manca la consapevolezza della politica che il tema innovazione non è un orpello nella retorica sulla necessità di tornare alla crescita, ma è “la risposta” al problema di come creare crescita e lavoro. Il finanziamento delle imprese innovative diventa quindi una priorità per tutti, ed è forse arrivato il momento di recuperare quel progetto di un Fondo di Fondi specializzato in venture capital di cui si era a lungo ragionato nella preparazione del Decreto Sviluppo del 2012.

Le risorse economiche necessarie per lanciare un fondo siffatto non sono ingenti – grazie al meccanismo di leva e al possibile coinvolgimento di investitori privati e, in primis, le casse previdenziali. Il possibile gestore, ovvero il Fondo Italiano d’Investimento, è già pronto e ha dimostrato grande abilità nel selezionare i fondi da supportare. Manca piuttosto la consapevolezza e la volontà politica di colmare quel gap che i dati Aifi e Evca sottolineano. Purtroppo non è solo un gap per gli operatori del settore: è un gap per l’economia e il futuro dell’Italia.

Written by  Gianfranco Gianfrate