Michele Padovani: bolla delle startup

redazione / 15 May 2015

Michele Padovani, CEO di iStarter, la scorsa settimana è stato intervistato da Barbara D’Amico per un pezzo pubblicato su La Stampa. Di seguito l’integrale della sua intervista.

BD: Secondo i dati di Italia Startup ad oggi nella Penisola si conterebbero un centinaio tra incubatori, acceleratori, coworking per neo aziende e migliaia di startup: troppi attori per un contesto che alcuni ritengono già saturo?

 

MP: E’ sicuramente vero che nel recente passato l’ecosistema che ruota attorno al concetto di “start-up” ha fatto registrare un incremento degli attori così significativo da indurre a pensare che in questo abbia inciso anche una componente “modaiola”.

 

E’ vero anche che molti di questi soggetti, in realtà, rappresentano entità “formali” ma non sostanziali, non riuscendo poi a incidere concretamente nella filiera e nella catena del valore e generando altresì entropia e confusione nel sistema.

 

Ciononostante continuo a pensare che questo fiorire di nuova imprenditoria e di tutto l’indotto collegato sia davvero una delle poche eredità positive che ci lascerà la crisi economica e sociale che stiamo attraversando.

 

Si tratta di un fenomeno che ha investito soprattutto le nuove generazioni le quali, accortesi di avere molto poco da perdere sui binari di carriera tradizionali, hanno riscoperto l’entusiasmo sferzante dato dalla sfida nel realizzare qualcosa di proprio.

 

In questo modo, ne sono sicuro, tutti questi attori hanno prodotto e continuano a produrre la linfa vitale di nuova imprenditorialità che è l’unico elemento che, traducendosi poi in nuova occupazione e nuovo reddito, può accrescere la speranza di un futuro di riscatto e di crescita per il nostro Paese.

 

Nella mia visione, comunque, il sistema sconterà nel prossimo futuro la vecchia legge della natura per la quale solo i soggetti più forti sopravviveranno, e il settore vivrà una fase aggregativa (che già si può intravedere) e di efficientamento che lo auto-normalizzerà mantenendone in vita solo gli organi virtuosi.

 

 

BD: Fondi italiani, business angels, venture capital stranieri: qual è la formula migliore per integrare e convogliare in modo efficiente le risorse a disposizione anche per le startup italiane?

 

MP: La formula migliore deve ancora essere scoperta, trattandosi di un settore relativamente giovane su cui i benchmark non sembrano essere significativi perchè non ancora sufficientemente storicizzati.

 

Sicuramente la realtà statunitense può essere fonte di ispirazione ma, presentando comunque differenze sia endogene al settore che riferibili all’humus circostante (differenze soprattutto politiche, culturali e dimensionali), non può essere integralmente replicata.

 

Non credo sia un problema di capitali, che nel Paese sono presenti in abbondanza. Credo, invece, che questi vadano organizzati al meglio e messi nelle condizioni di raggiungere i progetti veramente meritevoli. Personalmente ritengo infatti necessario che gli attori di settore percepiscano un senso di urgenza utile a costruire solide strutture per il supporto di questo ecosistema che cresce.

 

Il grave rischio è che, anche in questo come in altri settori, il nostro Paese “svenda” professionalità, competenze, genio e creatività a causa di un’incapacità di collegare efficientemente i soggetti con dinamiche meritocratiche di “vero mercato”.

 

In quest’ottica l’incubatore di cui sono CEO sta sviluppando un’iniziativa per la creazione di uno strumento di capitale innovativo che, oltre a generare importanti ritorni per gli azionisti, dovrà essere in grado di svolgere anche una missione “sociale”.

 

Dovrà infatti consentire al talento imprenditoriale di emergere, se davvero meritevole, essendo supportato in misura adeguata anche nelle sue fase più embrionali, ovvero quelle dove troppo spesso si scontra con un’avversione al rischio che inaridisce in partenza una fetta significativa del potenziale che risiede nei giovani imprenditori italiani.

 

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